Come il bottone SUBSCRIBE ha cambiato Internet e il futuro dei creator
La morte dei follower e i cambiamenti continui agli algoritmi sono una minaccia per chi vuole sostenersi online in modo indipendente, giornalisti compresi. Ma il futuro è dalla loro parte.
Hola,
Sono Barbara D’Amico, giornalista, Head of Project Management Team per un’azienda italiana della comunicazione e fu Google News Lab Teaching Fellow. Questa è la mia newsletter sul digital journalism, un modo per restare in contatto con me, sapere cosa combino e ricevere news su corsi, eventi e punti di vista fondamentalissimi su quanto accade nell'infosfera online.

Sono poche le persone che hanno una visione limpida degli eventi mentre gli eventi li travolgono. E tra queste possiamo annoverare Jack Conte, creatore di Patreon, conferenziere e grande osservatore del mondo digitale. Il suo è un punto di vista molto utile da condividere, per capire come sarà il futuro della produzione dei contenuti online e dello loro sostenibilità. Inclusa quella dell’informazione.
In un suo recente intervento, intitolato The Death of the Follower - uno dei keynote speech della SXSW Conference, tra i più seguiti appuntamenti negli States per creator, autori televisivi, musicisti e imprenditori Tech - Conte è riuscito a condensare in appena un’ora da dove vengono i creator, le community, e che fine farà la capacità di autofinanziare progetti e prodotti grazie a Internet (io ci metto anche il giornalismo tra questi servizi, perché i punti di contatto sono molti più di quelli che crediate). Vi lascio qui il video integrale:
Prima di fondare una delle piattaforme più note al mondo per autofinanziarsi un progetto, Conte è stato un musicista e uno degli “early adopter” delle tecnologie social per produrre i suoi album (gli early adopter sono tra i primi ad adottare certi servizi o funzionalità online appena escono sul mercato).
Ne ha parlato molto durante il suo intervento, ripercorrendo le tappe che ci hanno portato dall’essere utenti passivi a utenti attivi e interagenti di Internet.
A partire dal 2007 circa, infatti, siamo passati dal web 1.0 al web 2.0. Da un Internet concepito negli anni Novanta, in modalità puramente statica, in cui come utenti potevamo leggere, accedere all’informazione ma avevamo una pressoché inesistente possibilità di interagire con altri utenti o con chi pubblicava i contenuti, a un Internet in cui invece gli utenti iniziavano a essere interconnessi.
E’ il web, spiega Conte, del “broadcast yourself”, dei servizi come YouTube, Facebook, Twitter il cui mantra iniziale è “carica i tuoi contenuti e condividili con il resto del mondo (online)”. Questo web non è statico. Puoi partecipare, caricare materiale, postare. E’ una rivoluzione. Perché per la prima volta l’utente smette di essere solo consumatore e inizia a poter creare/produrre.
Conte è così il primo a iniziare a caricare contenuti su YouTube (all’epoca, dicevamo, fa il musicista - con scarso successo - e cerca di promuovere i suoi brani).
A un certo punto ha l’intuizione di filmare il making of delle sue composizioni, cioè tutto il processo creativo che sta dietro a una canzone. Nessuno lo stava facendo in quel momento.
Guardatevi questo reperto storico che si intitola “Videosong 2 - Eat - Jack Conte” (pensate anche a quanto è cambiato il modo di titolare i contenuti rispetto a 16 anni fa)
“I thought it was fucking awesome. Honestly, I still think it’s fucking awesome. It’s so easy to forget how magical this is”
(Jack Conte, mentre parla dei social media)
Il bottone SUBSCRIBE
In questo brodo primordiale delle piattaforme social, i creator come Jack possono raggiungere persone mai conosciute prima e interagire con loro grazie ai commenti.
Ma il web sta per cambiare di nuovo e YouTube è il primo a cristallizzare questo ulteriore salto evolutivo. Un salto fatto grazie a una funzionalità che trasforma Internet da un luogo in cui è possibile “raggiungere le persone” (“reaching people”), a un luogo in cui è possibile avere dei follower (“getting follower”): il bottone SUBSCRIBE.
Secondo Conte è questa la vera intuizione geniale dell’epoca. YouTube infatti è la prima piattaforma a introdurre il tasto “Abbonati al canale” con un semplice click.
L’azione dell’abbonarsi a un canale - gratuitamente - stravolge il concetto di “reach” e permette ai creatori non solo di raggiungere un pubblico ma di creare dei follower, cioè persone che non devono più cercare attivamente quell’artista o produttore di contenuti, perché riceveranno una comoda notifica con l’ultimo video pubblicato dal canale che seguono.
A partire da quel momento molte altre piattaforme seguiranno l’esempio. E un semplice bottone dà inizio all’economia digitale come l’abbiamo conosciuta fino a oggi (più o meno).
Secondo Conte, infatti, il follower nato grazie all’azione SUBSCRIBE non è una semplice moda social, ma il concetto fondante, l’architettura della creatività artistica online sostenibile. Un framework per la distribuzione e la condivisione di contenuti, dall’arte, alla musica, ai libri, passando per l’informazione e molto altro.
Non a caso, grazie al tasto subscribe e alla nascita dei follower, iniziano a svilupparsi anche le community, cioè solide basi di fan accomunate non solo dalla passione per un artista, ma capaci di interagire - grazie ai commenti e ad azioni bidirezionali - con il proprio “creator”.
E’ grazie al tasto subscribe sul suo canale YouTube che Conte riesce a organizzare i primi concerti dal vivo, attirando decine e decine di persone nei locali. Le stesse che solo qualche anno prima faticava a intercettare nonostante i suoi estenuanti tour in giro per l’America.
La conversione è una saponetta
Poi accade qualcosa. E’ il 2008 e il canale YouTube di Jack conta circa 7 mila follower. Un giorno lui e Nataly Dawn, bassista, cantante e anche sua fidanzata, stanno registrando un pezzo in video da caricare sul canale proprio quando la sorella di Conte entra nella stanza e saluta in telecamera mostrando una saponetta per le mani.
In quel periodo, infatti, la sorellina di Conte stava realizzando saponi fatti in casa agli agrumi e dato che il duo di Conte&Dawn si chiamava Pomplamoose Music - in francese pamplemousse significa pompelmo - aveva semplicemente detto a favore di camera “ehi guardate ho fatto il sapone “pomplamoose”!
Conte posta il video. Immediatamente dopo riceve una marea di richieste per il sapone ufficiale della band, creando inavvertitamente il primo sito e-commerce su YouTube dell’epoca.
Gli ordini per la saponetta brandizzata fanno venire in mente al duo un’altra idea: perché non vendere pennette USB con all’interno la loro musica usando YouTube per sponsorizzale? Perché usare un CD quando le USB potevano, allora, avere fino a 1 GB di spazio?
Così le saponette vengono sostituite da centinaia di ordini via posta per pennette USB con dentro file mp3, cioè le canzoni di Conte e Dawn. Se ci pensate oggi sarebbe pura follia, ma agli albori di ogni nuova esplorazione tecnologica la sperimentazione deve essere un po’ libera, selvaggia e rischiosa.
Grazie a quelle prime commistioni i creator riescono a fare i primi soldi. Direttamente e senza intermediari, se non YouTube e poi Apple che lancia iTunes proprio nello steso periodo.
Conte capisce che può vivere di musica e tramite YouTube dice ai fan di acquistare i suoi pezzi su iTunes: in poco tempo vende 30 mila canzoni e Conte e Dawn si ritrovano 22 mila dollari depositati in banca.
Immaginate cosa voglia dire per un artista catalizzare questo tipo di sostenibilità economica grazie a una piattaforma che mette in contatto produttore e consumatore, solo virtualmente.
Oggi sono meccanismi che diamo per scontati, usati anche dai giornalisti per crearsi sistemi indipendenti di sostenibilità (pensate alle newsletter), ma la loro funzione - studiata in retrospettiva - aiuta molto a capire dove stia andando oggi l’economia digitale e conferma che online e offline non sono dimensioni separate.
Non esiste una realtà parallela online, ma ne esiste una sola a cui accediamo più facilmente grazie a strumenti digitali e in cui la cura del contenuto per una serie di comunità di persone può creare ancora sistemi virtuosi di scambio, creatività e sostenibilità economica.
If “reach” means people see it, and follower means “people want to see more” than “true fans” are people that are willing to buy tickets for your shows, buy your merchandise etc …”
(Jack Conte)
Conte spiega come a quel punto, avendo una base solida di True Fans, cioè persone disposte a investire nel suo progetto musicale perché coinvolte anche emotivamente nel percorso creativo, non importasse molto avere un sito super curato per poter vivere della propria arte.
Si era creato da solo, con uno scrausissimo codice html, una landing page da cui i suoi veri fan potevano comprare direttamente gli mp3. Non importava che fosse rozzo, il punto è che ormai aveva una base di ammiratori/trici che amava quello che lui e la sua compagna in arte e nella vita facevano. Avevano stabilito un solido rapporto di fiducia.
E’ a quel punto che Conte, forte di tutta questa esperienza, crea Patreon. Patreon oggi conta 250 mila creator e dalla sua nascita è riuscita ad attirare circa 3 miliardi e mezzo di dollari per garantire a chiunque la possibilità di produrre musica, libri, film e via dicendo.
1000 veri fan
Il meccanismo dei true fans, o di quello che Kevin Kelly avrebbe teorizzato come il meccanismo per attirare una sostenibilità economica grazie a soli “1000 true fans”, interessa anche l’informazione. I true fans sono in sostanza persone altamente fidelizzate. Non sono utenti che vengono una volta sul tuo sito, sul tuo blog e poi spariscono, no. Sono la tua base solida e questa solidità si costruisce, secondo me, con 3 ingredienti:
qualità e originalità del contenuto
costanza nelle produzione del contenuto
affidabilità del produttore del contenuto (ovvero il creator produce qualcosa perché autenticamente connesso al progetto, non per ragioni esclusivamente commerciali)
Guarda caso, è attorno a quegli stessi anni che alcuni dei migliori giornalisti/e abbandonano la testata per cui lavorano per aprire propri canali informativi indipendenti (FiveThirthyEight ad esempio che ora è stato di nuovo acquisito da una testata ma ha vissuto gloriosi momenti di indipendenza).
Ed è sempre in quel periodo che, finalmente, i giornali capiscono l’importanza della sottoscrizione e si convincono, con moltissimi anni di ritardo, a creare propri sistemi di abbonamento online.
La morte dei follower e il futuro dei creator
Ma tutto sta per cambiare di nuovo. Siamo attorno al 2010 e Internet subisce un nuovo scossone. Facebook introduce il ranking, cioè il sistema per cui gli utenti non avrebbero più visto solo post degli amici o in ordine cronologico, ma i post che meglio avrebbero risposto alle logiche di engagement, quindi quelli più performanti, virali.
Per Conte, quella che era una giusta intuizione di business da parte di Facebook, si rivelerà ben presto la condanna a morte dei creator indipendenti, perché i follower di un creator non vedranno più necessariamente i contenuti realizzati dal loro artista preferito, proprio come a un certo punto i nostri parenti e amici più stretti vedranno comparire sempre meno nella propria bacheca i nostri post, le nostre foto, i nostri pensieri.
Questo cambiamento ha un impatto concreto sulla qualità dei contenuti. Invece di realizzare il miglior prodotto in termini creativi o informativi, ora i creator sono costretti a pensare al miglior contenuto secondo i criteri dettati da un algoritmo. E’ la trappola in cui i giornali cadono in pieno, adattando i siti di informazione online ai trend virali e al clickbait.
Presto, Youtube, Instagram, Twitter avrebbero seguito l’esempio di Facebook, rompendo il primo grande matrimonio tra creator e follower.
Arriviamo così a oggi. Gli anni dal 2020 in poi segnano l’era di Tik Tok. Tik Tok abbandona completamente il concetto di subcribers e follow e potenzia l’algoritmo basato sul concetto di “for you/per te”: gli utenti non hanno più bisogno di seguire/sottoscrivere per ricevere i contenuti più adatti ai loro gusti, perché è la piattaforma che li seleziona per loro. Il creator, in un certo senso, è secondario. A dominare è l’interesse, la capacità di catturare l’attenzione.
Questo uccide definitivamente il concetto di community, o almeno ne rende più difficile la nascita spontanea. Conte spiega come in quel periodo molti creator come lui sentano sulla propria pelle questo cambiamento. E’ più difficile vendere biglietti per i concerti, è più difficile raggiungere le persone, è più difficile far arrivare ai propri veri fan i contenuti creati per loro.
Un dramma che affligge anche le testate che avevano usato - e pagato - massicciamente i social media per raggiungere nuove audience e ora si ritrovano con i canali prosciugati.
“It’s harder to energize my fan”
(Jack Conte)
Il ritorno della community economy
Per Conte gli anni 2020 potrebbero passare alla storia come l’era in cui si è consumata la morte dei follower. Ma, spiega, lui per primo non ci crede davvero.
Crede anzi che i colossi social che hanno basato il loro business model sulla massimizzazione dell’economia dell’attenzione siano destinati a fare i conti, molto presto, con una nuova generazione di tech companies in grado di far riemergere la community economy.
Kajabi, Moment House, Gumroad secondo Conte sono tutti esempi di nuove tech companies che si stanno focalizzando sul creare connessioni profonde tra gli utenti, tra i creator e la loro base.
Riprendendo la piramide rovesciata che Jack ha mostrato durante la conferenza, ovvero il funnel classico della conversione online, oggi il pubblico della fascia “REACH” è quello su cui Facebook-Meta/IG, Youtube, Tik Tok ecc… puntano ancora perché risponde perfettamente alle logiche di advertising e di attention economy (più follower e views ottengo, più pubblicità posso vendere)
Al contrario, la fascia TRUE FAN che è il collo di bottiglia del tasso di conversione - ovvero, se voglio 3 fan disposti a pagare, so che devo prima aver raggiunto 300 persone anche non in linea con il mio contenuto -, risponde ancora perfettamente alla logica della community economy perché è la base in grado di sostenere economicamente contenuti di alta qualità purché chi produce o veicola quei contenuti si impegni a trasmettere un’esperienza più profonda, condivisa, formativa e trasformativa per l’utente.
Per questo Conte crede che i prossimi 10 anni saranno dedicati proprio a questo ultimo segmento dello sviluppo di Internet.
Penso che Substack, la piattaforma da cui pubblico questa newsletter, possa rientrare in questo ragionamento, purché non abbandoni troppo la community economy per virare su quella dell’attenzione (che è un po’ la fine che ha fatto, purtroppo, Medium).
La rinascita del giornalismo locale (?)
Il giornalismo potrebbe trovarsi per una volta ai giusti blocchi di partenza dopo decenni di ultimi posti. Specialmente il giornalismo locale e iperlocale che hanno per natura un legame naturale con la propria comunità e ora possono accedere, a costi infinitamente più bassi che in passato, a tecnologie in grado di massimizzare la costruzione di più fonti di reddito (dalla raccolta pubblicitaria, alla vendita di servizi formativi o eventi, alla creazione di abbonamenti personalizzati per newsletter, podcast, contenuti in genere).
Ad esempio, il progetto National Trust for Local News sta permettendo ad alcuni giornali locali statunitensi di accedere a tecnologie e condivisione di beni e servizi, per essere più sostenibili e rafforzare il rapporto con le comunità locali. Il loro payoff la dice lunga:
“Our community newspapers reconnect people to the places they live by protecting the public trust, elevating the facts, empowering their communities with solutions and fostering a strong sense of place”
(La nostra community di giornali locale riconnette le persone ai luoghi in cui vivono, tutelando la fiducia riposta del pubblico, dando spazio ai fatti, fornendo soluzioni e incoraggiando il legame con il territorio)
In generale il giornalismo deve però affrontare un cambio di paradigma più insidioso e che non riguarda solo le piattaforme social. Parliamo delle modifiche agli algoritmi dei motori di ricerca che, con l’ingresso dei large language models e dei chatbot basati sul machine learning, stanno abbattendo il traffico che prima le testate online erano in grado di intercettare grazie all’indicizzazione dei risultati.
Fino a poco tempo fa se cercavate un paio di parole chiave online su qualunque argomento tra i primi risultati potevate trovare facilmente articoli di giornale. Oggi non è più così perché vi ritrovate sommersi o di risposte “autogenerate” dall’AI o dall’aggregazione di fonti sempre fatta dall’AI e che non necessariamente devono includere testate di informazione ufficiali.
Assistiamo alla morte non solo del follower ma anche del traffico. Potrebbe però non essere una cattiva notizia.
Su Charlie, la newsletter de Il Post sullo stato di salute del giornalismo in Italia e nel mondo, qualche settimana fa è stato pubblicato un paragrafo intitolato proprio “la fine del traffico”. Lo ricopio così com’è:
La fine del traffico
“Brian Morrissey, ex direttore del sito di media e pubblicità Digiday che ci capita di citare su Charlie da quando ha un'ottima newsletter che si chiama The Rebooting, ha intervistato nel suo podcast la direttrice del Wall Street Journal Emma Tucker. Tra le diverse cose interessanti della conversazione la principale e più esemplare di un grosso cambiamento in corso è quella che riguarda lo spostamento di priorità dalla crescita delle "pagine viste" o dei "visitatori unici" al coinvolgimento dei lettori che produca una maggior fedeltà e una maggiore propensione all'abbonamento. Spiega Morrissey:
"L'era del traffico è finita. Nessuno si vanta più dei suoi visitatori unici certificati da Comscore: la nuova stella polare è l'engagement. In particolare per i modelli ad abbonamento, che sono il naturale sviluppo delle strategie concentrate sul pubblico. Con gli abbonamenti il terrore è il churn (ovvero la quota di abbonamenti che non vengono rinnovati, ndt). Trovo rivelatore che Emma non citi i numeri di traffico ma sottolinei piuttosto che il churn del Wall Street Journal quest'anno sia calato del 6%. Il Journal ha una bacheca di dati che misurano criteri come le visite, le conversioni in abbonamenti, le quote di lettrici e di lettori giovani: «Alla redazione chiedo di concentrarsi sull'engagement, non sul traffico, non sui clic. Quanto tempo passano le persone sul nostro giornalismo? Quanto spesso tornano?».”
Cambiano le metriche insomma, ma questo significa che finalmente si sta tornando a contenuti di qualità e, forse, di nuovo alla sostenibilità basata sulla fiducia che gli utenti riporranno nel “nuovo” giornalismo. Sarebbe anche ora.
Barbara, mi hai illuminato. Ma che fatica!